venerdì 22 aprile 2011

Alice nel bosco senza nomi


È un breve passaggio quello di Alice nel bosco senza nomi. Era stata avvertita della “pericolosità” di perdere il proprio nome, la propria identità. E Alice ci tiene a ricordarsi chi è, forse memore della fastidiosa sensazione provata qualche mese prima, nel Paese delle Meraviglie, quando a forza di cambiare statura aveva perso le dimensioni (o la consistenza stessa) del proprio sé.
La bambina si ritrova a passeggiare nel bosco senza neanche accorgersene e pian piano perde il nome delle cose, insieme al suo. Qui fa un fugace incontro. È un cerbiatto (noi lo sappiamo), che le passa accanto e che lei chiama a sé. Il pavido animale non ha paura di lei e vuole sapere il suo nome. Ma nessuno dei due sa chi è. Nessuno dei due conosce il proprio posto nel mondo. Il cerbiatto però sa che spostandosi un po’ più in là se ne ricorderà. E così fanno. Ma appena si ricorda di essere un cerbiatto, sa che Alice è una bambina e scappa. Terrorizzato.
Alice (possibile allegoria dell’Umanità?) aveva perso la capacità di nominare le cose e con essa il controllo sulle cose stesse, il potere della parola, della conoscenza. Ma aveva acquistato sintonia con il Creato (il cerbiatto).
L’ignara bambina esce dal bosco con la serenità con cui vi era entrata. Ma noi?
È forse malinconia quella che rimane nei nostri occhi. Le lettere continuano a scorrere nella nostra mente e Alice è già lì, che parla con Tweedledum e Tweedledee.
Ma noi ci guardiamo ancora alle spalle, in cerca di quella perduta armonia.

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